Sull’origine del nome Vernaccia esistono molte ipotesi. Alcuni lo fanno risalire al termine latino ibernaceum (da ibernum = inverno) per indicare la caratteristica dell’uva di maturare quasi in inverno, oppure al termine vernatico (vino che si consuma in inverno). Una terza ipotesi, la più accreditata, fa risalire l’etimologia del nome Vernaccia al latino (vino che si consuma in inverno). Una terza ipotesi, la più accreditata, fa risalire l’etimologia del nome Vernaccia al latino vernaculus (del luogo) con cui venivano indicati i vitigni locali. Ciò è in accordo con la grande diffusione di vitigni con questo nome e con la loro disomogeneità. Anche secondo lo storico sardo, Cherchi Paba (1976), l’origine del nome Vernaccia è da attribuirsi al latino Vernacula che significa vite, uva, vino del luogo, in senso generico.
Il nome Vernaccia, infatti, è utilizzato in dieci regioni Italiane per indicare vitigni e vini tipici della zona di produzione fra i quali non vi è nessuna correlazione ampelografia. Oggi esistono solo 3 varietà di Vernaccia, di cui 2 a bacca bianca e 1 a bacca rossa, iscritte al Registro Nazionale delle varietà della vite: La Vernaccia di San Gimignano, La Vernaccia nera di Serrapetrona e La Vernaccia di Oristano Chiaramente in base alla terza ipotesi possiamo asserire che la Vernaccia di Oristano è un vitigno presente nel nostro territorio da oltre 2000 anni.
La Vernaccia coltivata in Sardegna sembra sia un vitigno selvatico (Vitis vinifera sativa DC), esclusivo dell’isola, dove fu allevato, probabilmente, sin dall’età protosarda e che i Romani denominarono genericamente Vernaculo, che con il tempo assunse il nome attuale di Vernaccia. L’équipe archeobotanica del Centro Conservazione Biodiversità (CCB) di Cagliari, ha fatto una scoperta che toglie ogni dubbio e riscrive la storia della viticultura dell’intero Mediterraneo occidentale.
Gli archeobotanici hanno rinvenuto semi di vite di epoca Nuragica, risalenti a circa 3000 anni fa, avanzando l’ipotesi che in Sardegna la coltivazione della vite non sia stata un fenomeno d’importazione, bensì autoctono. Sino ad oggi, infatti, i dati archeobotanici e storici attribuivano ai Fenici, che colonizzarono l’isola attorno all’800 a.C., e successivamente ai Romani, il merito di aver introdotto la vite domestica nel Mediterraneo occidentale. Ma la scoperta di un vitigno coltivato dalla civiltà Nuragica dimostra che la viticoltura in Sardegna era già conosciuta: probabilmente ebbe un’origine locale e non fu importata dall’Oriente.
Nel sito nuragico di Sa Osa, nell’Oristanese, sono stati rinvenuti oltre 15.000 semi di vite, perfettamente conservati in fondo a un pozzo che fungeva da “paleo-frigorifero” per gli alimenti. Si tratta di vinaccioli non carbonizzati, di consistenza molto vicina a quelli reperibili da acini raccolti da piante odierne. Grazie alla prova del Carbonio 14 i semi sono stati datati intorno a 3000 anni fa (all’incirca dal 1300 al 1100 a. C.), età del bronzo medio e periodo di massimo splendore della civiltà Nuragica. Gli archeosemi ritrovati e analizzati sono quelli della Vernaccia e della Malvasia, varietà a bacca bianca coltivate proprio nelle aree centro-occidentali della Sardegna. Quindi ad oggi è certo che la vite in Sardegna non è stata portata dai Fenici, che in Libano già la coltivavano ancor prima dell’età Nuragica. Più che un fenomeno di importazione, dunque, si pensa che in Sardegna si sia verificata quella che in gergo botanico si definisce “domesticazione” in loco di specie di vite selvatiche, che ancora oggi sono diffuse ampiamente in tutta la Sardegna.
Ora abbiamo la prova scientifica che i Nuragici conoscevano la vite domestica e la coltivavano.
Il Vernaccia di Oristano è affinato biologicamente in botte grazie all’azione di lieviti detti flor. Da sempre considerato il vino nobile della Sardegna, utilizzato in tutte le più importanti ricorrenze.
La tecnologia di produzione della Vernaccia è del tutto singolare. Al termine della fermentazione alcolica i lieviti definiti “flor” appartenenti alla specie Saccharomyces cerevisiae sono capaci di risalire sulla superficie del vino in presenza di concentrazioni alcoliche proibitive per altri leviti, per formare un velo o biofilm più o meno spesso ed esteso. Il metabolismo dei lieviti “flor” riveste particolare interesse di studio perché è il responsabile della produzione di composti chimici responsabili della frazione aromatica.